La mostra, allestita nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano, presenta ottanta opere, tra sculture di grandi maestri del Novecento e capolavori di arte etnica. Un viaggio attraverso i principali caratteri dell’esplorazione interiore che accomunò gli artisti del Novecento all’arte delle culture da cui presero spunto.
Alla fine dell’Ottocento infatti, l’irruzione sulla scena mondiale delle culture non-occidentali produsse, nel campo delle arti, una vera rivoluzione: si estese l’universo delle fonti per gli artisti e crebbe il desiderio di oltrepassare visioni e schemi che il realismo europeo aveva ereditato da quattro secoli di riflessione estetica. Fu un “incontro fatale” che, lungi dal creare una frattura creativa, generò una feconda apertura culturale e la prima vera convergenza del mondo nell’arte. La più sovversiva, feconda e più duratura fu la relazione con le arti etniche e popolari, i cui linguaggi, soltanto apparentemente ingenui, furono capaci di comunicare senza mediazione il rapporto dell’umano con il divino e il soprannaturale.
La scultura della prima metà del Novecento dovette tenacemente combattere per affermare che la fedeltà all’apparenza non poteva essere più considerata a priori la misura dell’arte. Sculture che, liberatesi definitivamente da ogni inibizione ideologica, incarnavano entità che cercavano un loro proprio principio di giustificazione. Fu un tormento che trovò nella materia stessa il suo fondamento primario e, al contempo, fu una liberazione che affrancò per sempre la scultura occidentale dal conformismo della fisionomia.